Uno – Teatro estremo

Seconda edizione

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Pubblicato da Alessandro Trigona su giovedì 20 aprile 2017

Ci sono dei momenti in cui si sente il bisogno di “fare il punto della situazione“, non certo per “tirare le somme” – non si è a questo – ma semplicemente per guardarsi indietro e per verificare la validità del lavoro artistico prodotto. Per un autore, questo significa ri-leggere i propri testi, correggerli e conte-stualmente ri-definirsi, ri-definendoli, con l’idea magari di darne pubblicazione in modo da rappresentare un loro ri-ordino che sia logico e artistico nello stesso tempo. Un lavoro di ri-elaborazione concettuale di un percorso drammaturgico

Prima edizione

che, nel tempo, si è tracciato, opera dopo opera, testo dopo testo. Una ri-scoperta di sé e del proprio scrivere, attribuendo anche nuovo
significato ad opere considerate, a torto o ragione, secondarie se non addirittura del tutto dimenticate. Materiale, quindi, da raccogliere in una serie di pubblicazioni, da editare nel tempo, volume dopo volume (Uno, Due, Tre, Quattro, ecc), che abbiano anche una propria specificità tematica o di tendenza (Teatro Estremo, Teatro Civile, Teatro Sociale, Teatro Cronaca, Teatro Epico ecc).

Punto di partenza, ovviamente, non poteva che essere la ri-edizione, ri-pensata e corretta, nelle singole opere e nella selezione delle stesse, di quello che era stato “Teatro estremo(edito nel 1999) prima raccolta di miei testi. Una pubblicazione che dava già il senso di una scrittura che voleva andare oltre il teatro e che, letteratura, aspirava ad essere uno sguardo analitico sull’uomo moderno e sulla società contempo-ranea. Una società in crisi, crudele, sempre più esasperata nelle sue dinamiche, che, all’indomani della fine delle ideologie, sembra degradare, da un punto di vista civile, culturale, etico, in un processo di progressiva disgregazione del proprio tessuto sociale. Inequivocabile segno di possibili infausti eventi a venire.

Teatro estremo” perché il lavoro intellettuale e di analisi non può che avere inizio dai casi più eclatanti, estremi appunto, nei quali è più facile cogliere i sintomi di un disagio collettivo sempre più profondo. “Teatro estremo” perché le storie si svolgono in contesti limite di disperazione, dove i personaggi, spogliati da ogni struttura o sovrastruttura sociale, civile, culturale, agiscono esasperati e violenti. Contesti limite, sempre ed in ogni caso, metafora di vita. Teatro estremo” perché si parla di carcere, di follia, di prostituzione con le atmosfere, le parole, le azioni che, di quelle situazioni, sono propri. “Teatro estremo” perché il re è nudo e si mostra per quello che realmente è. A dispetto delle modernità, delle comodità, dell’opulenza in cui vive, l’uomo, infatti, appare privo di senso, nell’incapacità, anche, di attribuirsene uno, quale che sia. Agisce in una logica primordiale di pura sopravvivenza: mors tua, vita mea. E questo anche senza averne reale motivo: la bestia si ri-scopre essere bestia e solo bestia.

“Finiremo col spararci addosso senza neanche sapere il perché” dirà uno dei personaggi di “La società liquida” presente nel volume “Teatro Sociale”. Ogni giustificazione culturale, politica è venuta meno lasciando l’uomo appeso al filo del se stesso mentre, carnefice quanto vittima, si rende partecipe dello sgretolarsi del tutto a favore del nulla.

Fulvia Cipriano e Federico Mancini

Siamo tutto questo niente noi?” si chiede uno dei personaggi di “Arbeit macht frei”, testo contenuto sempre in “Teatro Sociale”. Forse anche peggio, viene da replicare guardando il vuoto nel quale sta precipitando l’oggi. Forse basterebbe poco per scongiurare questa pericolosa deriva. Magari potrebbe bastare anche solo l’acquisizione di una nuova consapevolezza di sé, del contesto intorno e agire di conseguenza. Forse. Potrebbe magari essere semplicemente necessario “farsi” Uomo Nuovo nella consapevolezza del sempre possibile rischio che l’Uomo Nuovo si rilevi essere non molto diverso da quello vecchio. Se non peggio. Come accade in “L’Uomo nuovo” qui presente. La Storia, del resto, non fa sconti e quello che si vive oggi potrebbe essere solo uno di quei momenti storici in cui equilibri consolidati crollano, la caduta dell’impero romano ne è esempio, e l’uomo si smarrisce in attesa che nuovi e altri equilibri geografici, politici, sociali si stabiliscano. Nel bene come nel male. Povero chi ci rimane sotto. Intanto, in assenza di una capacità collettiva di discer-nimento, ai singoli l’ardua sentenza.

Buona lettura con una sola avvertenza e modalità d’uso: questo è Teatro Estremo ovviamente.

Del resto, io…  io sono cattivo.

L’uomo nuovo

Un giovane criminale ed il carcere. Il suo rapporto con una spietata realtà che tende a schiacciarlo. Un boss che impone il proprio volere come regola del carcere cercando di mantenere l’ordine e la disciplina con l’aiuto del suo braccio destro la cui unica realtà è quella di sopravvivere. Una guardia carceraria che tante ne ha viste e troppe ne ha trascorse. Una giovane sociologa, Veronica, che invece vuole cambiare il mondo, o, magari, più semplicemente, solo se stessa. L’attesa di un’amni-stia che non arriva. Le ansie e la violenza dell’ambiente alla fine esplodono nel fallimento del tutto e, se “L’uomo nuovo” c’è, è tremendamente simile a quello di sempre. Se non peggio…

 

quello che accade – Teùta

li Muro di Berlino è crollato. Dall’est arrivano masse di persone disperate che cercano e inseguono il sogno di una vita migliore ma quello che trovano invece è la realtà dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo. O sulla donna: la prostituzione. Il che è peggio. Teùta, albanese, è una di queste persone.

la coda del topo

Ratto è un giovane ventenne che, a seguito di un incidente di macchina nel quale è morta la sua ragazza, è rimasto cieco. I sensi di colpa, le conseguenze psicologiche di quel dramma lo hanno portato ai limiti del vivere. Accanto a lui, il fratello con la sua ragazza. Quando la situazione sembra potersi evolversi positivamente quando la follia riesplode a devastare ciascuna vita.

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servo della gleba

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