l’Uomo

1981

 

L’uomo anziano sorride. Sorride guardando il sole che muore all’orizzonte mentre la sua barba bianca e i suoi bianchi capelli scintillano al rosso di quegli ultimi raggi.

L’uomo anziano sorride. Seduto sulla sua vecchia sedia a dondolo. Immerso nella veranda della casa colonica dove – da sempre – vive. Tutto sembra beatificarlo: il saluto del sole, il volo di un uccello. la fresca brezza che proprio in quel momento prende a soffiare. E il rincorrersi delle voci del nipote Matteo e di quelle dei suoi coetanei che – spensierati – giocano nell’aia antistante la casa. Tutto.

Ad un tratto, però, l’uomo sente qualcosa comprimergli il petto come se…

Una fitta! È stata solo una fitta. Ma dolorosa. Come qualcosa che preme, che vuole uscire rivendicando la propria libertà.

Una fitta. È la vita che vuole venir fuori dal suo corpo per protendersi verso la luce di quel tramonto.

L’uomo anziano ha un sussulto. Forse è anche spaventato mentre gli occhi gli s’incupiscono e più volte – come a chiedere aiuto – essi rimbalzano il loro sguardo dal disco del sole al giovane adorato nipote che là, in mezzo all’aia antistante la casa, gioca.

Un nuovo sussulto. Poi l’uomo sorride amaramente avendo capito che sì, è proprio la vita che preme per volerlo lasciare. Lui non si scompone. Non cerca aiuto. Sorride e basta. E lascia che gli occhi gli oscillino qua e là a guardarsi intorno come a volere mandare a memoria ogni piccola cosa, ogni particolare di quel tutto che ha di fronte. Sembra anche che il lieve cigolio della vecchia sedia a dondolo si faccia colonna sonora di quell’oscillare di sguardo. E un’espressione di vissuto viene ora a colorare il già amaro sorriso del vecchio.

L’uomo adesso non prova più dolore. Ne ha capito la natura e ha accettato l’idea di un involucro di carne, ossa e processi biologici che non è più in grado di contenere il fervore della vita.

Le grida dei bambini spingono il vecchio a guardarsi ancora dentro e indietro, nel tempo, riscoprendosi bambino quando era lui a giocare sereno a nascondino con le ombre degli alberi della piantagione intorno.

L’uomo anziano sorride. Ancora. Pensa a quando “bimbetto” si perdeva nel pagliaio e chiamava mamma ogni donna che incontrava. Ride ancora ripensando ad allora, a quando, nonostante la miseria nella quale ha sempre vissuto, ha avuto modo di trovare la forza di ridere. E di divertirsi in ogni modo, con qualunque cosa. Sempre. Sì. Lo può dire. Può sinceramente ammettere di essere stato un bambino felice. Nonostante tutto. Un bambino felice. E ora se ne sentiva orgoglioso.

Il latrato di un cane lo spinge ancora più in là nel tempo fino alla soglia deila memoria da dove, con scrupolo, comincia a recuperare il ricordo più lontano, quello più remoto: il babbo che lo rimprovera, la mamma che lo mette a letto, i bisticci con i fratelli, il primo dente caduto, una cavalcata a dorso di mulo con le forti mani del babbo a sorreggerlo. E poi – ancora – più in là quasi ai confini della vita a riassaporare il latte materno che sente quasi invadergli la bocca; il caldo tepore dell’abbondante seno della mamma, con il suo forte, rassicurante odore. Un ultimo raggio di sole e poi la mente del vecchio giunge al bordo della vita, il confine che divide il nulla dall’esistente. Un ultimo grande sforzo e l’uomo anziano rivive il suo primo lungo vagito e, oltre ancora, il ventre materno che l’ha schiuso alla vita. E – prima ancora – si rivede feto immerso nell’amniotico liquido del grembo di donna.

“Da lì è iniziato tutto” si sussurra il vecchio lasciandosi accarezzare dall’approssimarsi della notte “da lì ho avuto inizio io. E da lì ha avuto inizio… ogni cosa: l’universo!”

Follia!

Ed è un attimo. La netta e spudorata sensazione che l’intero universo possa avere avuto origine con la sua venuta al mondo gli esplode nella mente. Come se… come se veramente fosse possibile che sia stata la sua venuta al mondo a generare ogni cosa.

“Sono io” si dice “ad aver creato tutto. Prima di me non esisteva niente. Solo quando sono nato, ha cominciato ad esistere il mondo, l’universo. Tutto!”

Assurdo! Tutto assurdo e folle. Tutto. Del resto come potrebbe essere che lui, proprio lui sia il creatore dell’universo! Quale follia è questa! Eppure…

Si scalda l’uomo anziano a quell’idea che sente riempirgli il cuore di un fervore nuovo mentre un senso di compenetrazione di sé nell’esistente circostante gli si fa largo dentro a non farlo più sentire solo. Di più. La stessa amarezza che – ancora fino a qualche istante prima – gli ha storpiato il sorriso ora è sostituita da una rassicurante pacatezza di chi, dopo mille e mille dubbi, afferra una certezza e la stringe con forza a sé. Ed è così che il vecchio coglie il fluire sincopato del proprio sangue nelle vene. Così riesce a pieno a godere del soffio lieve che, sospinto dal contrarsi dei polmoni, espelle l’aria a respiro. Sente anche la solidità effimera dei propri pensieri e l’umidità essenziale della sua saliva. E dalla memoria, che egli ha appena scardinato con non poca fatica, i ricordi cominciano a uscire fuori senza più bisogno di doverci, ulteriormente, frugare dentro. E ogni ricordo – ogni “suo” ricordo – non gli appartiene più, ma diviene inevitabilmente memoria del mondo e dell’universo: storia di tutta l’umanità e dell’esistente.

Il vecchio sorride convinto, senza più alcuna amarezza né tristezza. Il concepirsi il creatore di tutto gli dà ora quel senso di pace che, negli anni, aveva sempre lungamente cercato e, fino ad allora, mai trovato.

Il suo respiro si confonde con l’aria fresca della sera. E la luce dei suoi occhi con quella del sole che ormai è quasi spento oltre l’orizzonte. L’urlo del silenzio infrange il chiassoso gioco dei bambini.

La vita continua a comprimergli il petto alla ricerca della via di fuga. Il vecchio non prova dolore. Né tanto meno paura. Non cerca neanche di chiamare aiuto. Lascia andare i suoi ricordi, osservandoli con distacco, riscontrando in essi la prova definitiva dell’esser stato, dell’aver vissuto.

“Che divengano pure la memoria del mondo!” si dice.

Il dondolio della sedia è l’unica compagnia che gradisce e da esso si lascia cullare, come lo culla, nella convinzione che tutto è stato creato nel momento stesso del suo concepimento; nel convincimento che ogni cosa è nata, è stata creata nel momento in cui… lui… nel mondo. Nulla esisteva prima… e nulla esisterà dopo.

Un brivido gelido gli percorre la schiena. I suoi occhi si aprono agghiacciati a questa nuova verità: egli sta per morire e, morendo, tutto l’universo con lui – creatore di ogni cosa – precipiterebbe nel nulla dell’inesistente. Il vecchio sbigottisce ora nel vedere un ultimo bagliore di sole e ne ha pietà. Gli si stringe il cuore. Volge lo sguardo ai bambini che giù da basso giocano.

“Povero Matteo” pensa.

Povero Matteo.

E ha così pietà per il mondo, per il sole, per le stelle, per i gattini della vicina appena nati. E ha pietà per tutta l’umanità che pure così malamente esiste. Pietà per il nipote Matteo.

Ora la pressione al petto si fa più forte. Più incalzante.  Il vecchio chiude gli occhi per riaprirli alla sera buia che ormai trionfa. La vecchia sedia a dondolo continua a cigolare. La brezza fresca della sera lambisce ancora le case. Mentre i bambini continuano incuranti il loro gioco e una voce lontana chiama qualcuno.  Il latrato di un cane – ancora – si mescola all’agre sapore della sera. Il vecchio chiude definitivamente gli occhi. E la sua vita riacquista la sua libertà e il mondo, l’universo, il creato, tutto è spazzato via nel nulla dal nulla. Muore con lui.