voglio essere cattivo.
Quello che scrivo, dico, quello che voglio rappresentare è la realtà, quella crudele, spietata, nelle sue logiche, nelle sue dinamiche, nella sua essenza.
Io sono cattivo.
E voglio mettere lo spettatore / lettore di fronte a questa realtà fatta di sue / nostre contraddizioni. Metterlo davanti a uno specchio, mostrargli ciò che è e che non vuole vedere.
Io sono cattivo.
Ed esprimo questa mia crudeltà attraverso le parole che sono immagini, impressioni, suoni, a volte anche emozioni, sogni, incondizionati impulsi. Troppo spesso vizi.
Io sono cattivo.
E voglio strappare la pelle allo spettatore / lettore, spogliarlo da ogni parvenza – ‘re nudo’ – e farlo apparire così com’è. Renderlo spettatore di quel se stesso che preferirebbe continuare ad ignorare. Quel se stesso che – nonostante lui, sebbene lui –si veste, si muove, esiste con tante – troppe! – finzioni, ipocrisie, infingimenti. Esiste senza troppe riflessioni, – come, quasi, forse – a prescindere da lui. O con lui – ancora peggio! – complice.
Io sono cattivo.
E parto dalla realtà, da questa realtà, per dire quello che ho da dire, che voglio scoprire. Quella verità che – proprio in quanto verità – è assoluta e fa male, fa ancora più male, anche là dove suscita il sorriso o anche – addirittura! – un moto comico di risa, pur essendo – rimanendo – semplicemente verità, ipotesi delittuosa di vita.
Io sono cattivo.
E questo è il mio teatro, un teatro estremo, vitale, sporco, quanto mai vissuto, imbevuto e intessuto di quella critica aspra e crudele che è e si vuole spietata – ancora più spietata – nei confronti dei valori, costumi, riferimenti culturali, politici, religiosi e – perché no? – mentali che ci portiamo dietro. E – peggio – dentro.
Critica crudele e ancora più crudele quando – in quanto critica – si vuole ‘sociale’, essenzialmente culturale / esistenziale.