1982
È passata mezzanotte quando Eugenio si avvia verso casa. Si sente stanco, particolarmente stanco. Guida prudente in mezzo a quel traffico notturno che, lento, scivola attraverso la nebbia che si va addensando. Si stringe forte al volante. Serra le mani. E srotola gli occhi lungo l’asfalto mentre le labbra gli si ripiegano su se stesse in una smorfia di disgusto che gli stropiccia la faccia e una sensazione di vuoto gli sgretola il cervello.
Ha appena trascorsa la serata con quella strana nausea che gli ha tormentato l’anima mentre si perdeva dietro la ricerca di un sempre improbabile parcheggio, mentre cenava in un ristorante affollato di fumo, di gente e chiacchiere e mentre scambiava sensuali effusioni con la ragazza nell’ingombro di un volante e nell’immancabile, inopportuna leva del cambio. Poi un saluto, un ultimo bacio. E la solitudine della strada a sfaldargli i pensieri.
La testa ora gli pesa piombo e le immagini di quella banale giornata gli si scompongono, come da abitudine, nella mente in tanti fotogrammi d’istanti passati rivissuti, a speranza, in una ipotesi di possibili scenari di un prossimo domani.
Un respiro lungo, un colpo di tosse, una buca e chissà mai cos’altro s’interrompono in quel senso di nausea che lo investe ancora strapazzandogli la mente a sottrarlo dalla stupidità di tutto quell’inutile pensare.
Qualcosa in lui, decisamente, non va. Non lo soddisfa. Gli lascia dentro un senso di vuoto che… “non saprei come spiegare”, si ripete in continuo.
Giunge a casa che è uno straccio: il volto pallido, il fiato pesante e le mani che quasi gli tremano.
Eugenio tira un sospiro di sollievo quando, varcata la soglia di casa, la richiude dietro se stesso. Neanche vi si volesse barricare dentro a tenere tutto il resto – il mondo intero – lontano da lui, fuori dalla sua vita e dai suoi pensieri. Con le spalle appoggiate alla porta, prende ancora un po’ di tempo prima di appiccicarsi un sorriso sulle labbra e entrare nel salotto dove la madre, ancora sveglia, appare sprofondata nelle immagini soporifere del solito talk-show televisivo serale.
“Come va a studio?” chiede la donna “vedrai che diventerai anche tu un grande avvocato. Come quelli della Tv” insiste ancora la madre vomitando parole a getto continuo “presto potrai anche sposarti” conclude quella sciogliendosi in un’espressione di compiacimento.
La madre è fiera di quel suo unico figlio che a soli 23 anni, e con il massimo dei voti, si è laureato in giurisprudenza. E che ora, all’età di 26 anni, superato il concorso da procuratore legale, grazie alla sua preparazione e a una mano santa che lo aveva un po’ – ma solo un po’ – aiutato, lavora presso uno studio legale con ottime prospettive per una fulgida carriera forense.
Ma quella sera, in lui qualcosa decisamente non va.
La madre lo guarda perplessa. Eugenio ha gli occhi stanchi: il volto contratto in una strana espressione di tensione. Appare inquieto. Forse anche logoro come se qualcosa lo stesse divorando dentro.
La donna si scuote in un altro sorriso di convenienza.
“Vedrai che è solo stanchezza” dice carezzando il volto del figlio con un tenero e amorevole sguardo.
Eugenio non se la sente di porre mano a discorsi. Troppo stanco. Così, scusatosi con lei, decide di andare subito a letto.
Appena s’infila sotto le coperte, la madre entra nella camera per dargli il “bacio della buona notte”, come ha sempre fatto con il suo eterno “bambino”. La voce di Eugenio esce flebile.
“Mi sento vuoto” dice biascicando le parole. La donna lo bacia sulla fronte.
“È solo stanchezza” replica lei togliendogli il tappetto dal beccuccio per farne uscire l’aria.
Eugenio sorride con un pizzico di amarezza mentre la madre lo aiuta a sgonfiarsi. Un lungo sibilo accompagna la fuoriuscita dell’aria dal corpo mentre strane e buffe smorfie gli si materializzano sul viso.
Un attimo di silenzio. Poi Eugenio giace sul letto completamente svuotato. Come un palloncino privo d’aria.
La donna, affettuosa, lo ripiega per benino, stirandolo con la mano, un po’ qua e un po’ là, per eliminare le fastidiose quanto inevitabili pieghe che, come sempre, gli si formano dappertutto.
L’indomani, come ogni mattina, lo avrebbe rigonfiato per permettere al suo Eugenio di affrontare le insidie e le difficoltà della vita. Adesso – però – ci voleva solo un po’ di riposo e tanto, tanto vuoto.