La frenesia del vivere moderno, la spasmodica ricerca del successo personale, economico innanzitutto ma anche sociale trova spazio nel primo testo qui proposto: “Tempi Moderni – L’innocente Ovvero Quella Lunga Estate Calda”, Premio Flaiano – Dante Cappelletti under 38. Un’isteria collettiva che, soprattutto dopo la crisi economica del 2008, ha visto le persone incattivirsi sempre di più, perdendo il senso del proprio vivere, mostrandosi cinica, crudele nei rapporti interpersonali, fino ad arrivare a vedere nell’altro, qualsiasi “altro”, un nemico, un avversario, qualcuno con il quale competere e distruggere per non essere distrutto. Una dinamica che, nel momento in cui si è accettata acriticamente ogni aspetto del capitalismo, finisce con il far perdere di vista i valori stessi della vita, ciò che davvero importante. “Tempi Moderni” nasce come critica a questo modello di vita: critica sociale ancora prima che umana ed esistenziale. “Tempi Moderni” è la storia di un uomo che, esasperato ed esaurito da questa spasmodica ricerca di successo, dimentica nell’auto il figlio neonato per ricordarsene solo quando ormai è tardi, quando l’afa di una calda giornata estiva lo ha ucciso. Un fatto drammatico accaduto realmente in Sicilia, nel 1999, e che si è ripetuto più volte nell’arco degli ultimi decenni fino a quando, almeno in Italia, è stata approvata una legge che ha imposto l’uso di specifiche tecnologie per evitare che tali fatti si debbano ripetere. Dal 1999, infatti, sono stati più di una decina i casi simili che, in Italia ma anche in tutto il mondo (Brasile, Belgio, Francia), sono avvenuti con una scadenza annuale a dare il senso di come, in effetti, oggi, ci si perda dietro a una isterica quotidianità, dimenticandosi cosa sia davvero importante nella vita: i propri stessi figli. “Tempi Moderni”, come il film di Charlie Chaplin ma anche come la rivista letteraria di Jean Paul Sartre. “Tempi Moderni” per rappresentare questi tempi sempre più vuoti di senso, sempre più proiettati verso un futuro dove la vita presto tornerà ad essere completamente priva di valore. Come, del resto, in verità, è sempre stata.
In un articolo, Maricla Boggio, autrice e Presidente della SIAD, Società Italiana Autori Drammatici, scrisse:
“Il testo di Trigona ripropone, con le differenze dovute ai tempi mutati, temi relativi all’individuo nel contesto familiare e sociale sviluppati nel teatro dell’ultimo secolo. I personaggi appartengono alla borghesia, le situazioni rispecchiano le relazioni contratte nel privato, parentale e del lavoro, restando cioè immersi nella sfera dei loro interessi, senza rialzarsi ad una visione più ampia dell’esistenza. A vent’anni dalla morte di Diego Fabbri, questi personaggi ne riproducono le condizioni di disagio e le volontà di trasgressione per i propri fini personali, avendo però perduto, nel frattempo, quello spessore morale che nei protagonisti di quell’autore emergeva, una volta scoppiata la tragedia e verificatosi l’evento. La consapevolezza della propria fragilità non emerge dai comportamenti e dalle riflessioni dei protagonisti di “Tempi Moderni”, preoccupati soltanto del proprio piacere e del proprio interesse, talvolta ammantati da una sottilissima vernice di doverosità, subito abbandonata per un feroce egoismo. I ruoli appartengono al teatro borghese dell’otto novecento – marito, moglie, bambino, cognata, amico di famiglia – con prevedibili implicazioni ed intrecci morbosi, fini al sacrificio della vittima innocente, che in Fabbri – “Processo di famiglia” – si rendeva evidente come una sorta di nemesi esplicativa. Nel testo di Trigona, che trae spunto da un fatto realmente accaduto, la vittima viene denunciata fin dall’inizio. perché non é la suspense ad interessare l’autore, ma l’indagine sui comportamenti che hanno portato a quel risultato. L’indagine si arricchisce di implicazioni aggiuntive, che allo stress ed alla disattenzione della vita moderna socialmente portata al carrierismo aggiunge la caduta dei valori familistici, superando la trasgressione pura e semplice e sfiorando l’incesto. Non sappiamo valutare se tali elementi aggiuntivi abbiano portato vantaggi alla disperata tesi dell’autore; tuttavia la scrittura sviluppa con ardimento le svolte della vicenda, complicandole sempre di più in una sorta di tela di ragno, quasi a voler significare che niente é salvabile in un mondo corrotto, ne’ valori, ne’ affetti, ne’ pietà. La struttura drammaturgica si scandisce con ritmo serrato e incalzante attraverso un dialogo essenziale, privo di compiacimenti. Senza indicare giudizi, l’autore dimostra l’invivibilità di un’esistenza soltanto strumentale, dove anche chi non é malvagio lo diventa, magari non per azione ma per omissione. Omissione di cui é colpevole come se agisse negativamente. E questa riflessione davvero morale dobbiamo farla, tutti quanti”.
Il processo continua: la ricerca dell’uomo nell’uomo avviata nel primo volume, “Uno – Teatro Estremo”, prosegue, quindi, in questa seconda raccolta che mette insieme testi che prendono spunto da reali fatti di cronaca: “Due – Teatro Cronaca”. Proprio per questa caratteristica, i testi proposti sono più emblematici a dare il senso di una deriva civile, culturale, politica che lascia poco scampo all’uomo in un processo di decomposizione sociale dalle conseguenze che non potranno che essere disastrose. In questa drammaturgia di testi, allora, si passa dall’uomo alla ricerca di un’affermazione sociale, “Tempi Moderni”, a una ragazza che, priva valori, giunge fino al brutale assassinio dei propri parenti più stretti: la madre, il fratellino. È “Buio A Sinistra – Il Nodo di Gordio”, testo ispirato a un reale fatto di cronaca che, nel 2001, sconvolse l’opinione pubblica generale quando una ragazzina di appena 16 anni, con l’aiuto del suo ragazzo (17 anni), uccise la madre e il fratello di 11 anni senza un reale motivo se non la gelosia, l’odio, il risentimento familiare. Li uccise a coltellate con una violenza priva di eguali. Un delitto che fece scalpore e che mise sul banco degli imputati la ricca provincia italiana che, proprio nella sua opulenza, o forse proprio a causa di essa, appare essere incapace di trasmettere alcun valore umano e civile. Sembra proprio essere incapace di proporre qualcosa che sia di freno agli istinti più devastanti. Niente freni inibitori, niente coscienza, niente che ostacoli il puro sfogo della propria insoddisfazione personale, del proprio odio, del proprio nulla. Ogni valore è annichilito e l’uomo è nudo al cospetto dei propri istinti più violenti senza mai riflettere sul senso del proprio agire. Il nulla governa il nostro oggi e che il domani si fotta.
“Il Dio del Male” è la noia, quella insopportabile compagna che spesso attanaglia le persone quando non sanno cosa fare, come spendere il proprio tempo. Allora nasce la tentazione di lasciarsi andare nel senso più distruttivo del termine. Nel 1996, nel vicentino, due ragazzine di 16 anni furono arrestate perché sorprese a prostituirsi. Lo facevano per noia, per fare qualcosa di trasgressivo che, divertendole e distraendole, desse un senso alle loro scialbe esistenze. Qui il vuoto esistenziale è evidente, salta agli occhi fino a diventare esso stesso modo di vivere. Non si sa cosa fare e ci si arrabatta a trovare un modo, un qualsiasi modo per perdere tempo in attesa di chissà mai che cosa. Economicamente ricchi, il tempo non ha alcun sapore né senso e allora si cerca di “usare” quel tempo per “distruggere” qualcosa, fosse anche se stessi. Nei secoli troppe menti, sensibilità, anche particolarmente dotate, si sono perse dietro l’alcool, le droghe e altro, nel tentativo di vincere la noia, di superare la propria insipienza esistenziale, l’incapacità a gestire un ingombrante se stesso e l’universo intorno. L’uomo muore anche per questo. E, quando si è adolescenti, si muore anche più facilmente. E ci vuole fortuna, oltre che abilità e doti personali, per evitare che l’irreparabile diventi irreparabile, apra ferite mortali o lasci cicatrici indelebili. Nella noia dell’essere se stessi, nel sentirsi inadeguati alla vita, allora serve sempre riuscire a capire quale sia il limite, l’esatto confine tra la vita e la morte. E fermarsi prima, prima che sia tardi. Per farlo, allora, bisogna darsi dei parametri, dei limiti che aiutino a capire davvero che oltre il burrone c’è il vuoto, fisico o esistenziale. Il vuoto. Occorre davvero capire se stessi, senza ipocrisie e infingimenti. Guardarsi nello specchio per anche scoprirsi, nel più profondo dell’animo, brutti, sporchi e cattivi. E, così, accettarsi fino in fondo. E non è facile. Tutt’altro che facile. Per questo io, in questo contesto, quadro di insieme, resto cattivo, molto cattivo perché io… “io sono cattivo”.